Anche io ho visto Il Pianeta delle scimmie di Burton e anche a me, come molti, ha fatto schifo.
Quello che mi stupisce è che non avevo neanche visto l'originale, altrimenti probabilmente avrei iniziato a tirare gelatine alla fine della proiezione.
Finalmente, con il solito ritardo di cinquant'anni, ho rimediato e mi sono letteralmente goduto il viaggio disperato di Charlton Heston nella sua terra del futuro.
Trailer polveroso:
Eliminate tutte le scene da commedia, i buonismi, i sacrifici eroici e le grandi battaglie, l'originale del 68 non ha nulla a che vedere con la versione scialba e infantile del suo remake di inizio millennio.
Planet of the apes è un film crudo e senza speranza, un analisi fredda e cinica della natura umana.
La civiltà scimmiesca nella quale precipitano i 3 protagonisti è esatto specchio di quella medioevale (o puritana, che si voglia). La lotta di classe la fa da padrona, così come le ingiustizie e i dogmi religiosi incontestabili. Ma anche in questa realtà esistono sfumature di grigio, la presunta perfidia e ottusità del Dottor Zaius nasconde un significato ben più profondo di quello del mero fanatico religioso. Discorso analogo per George Taylor, protagonista disilluso e nichilista, che poco calza nella figura di eroe duro e puro. A rappresentare questo complesso mondo una messa in scena semplice ed efficace, una regia che inserisce alcune riprese ed inquadrature di notevole effetto ed un make-up delle scimmie semplicemente meraviglioso.
A corollario finale di un incredibile viaggio un ultima inquadratura, iconica e malinconica, in grado di affascinare ed inquietare allo stesso tempo. Soggetto principale il cadavere lacerato di una signora di ferro, consunto e raggrinzito custode del ricordo di una specie capace di annientarsi da sola.
Per l'umanità ed il protagonista non c'è più un futuro, resta solo il frangersi delle onde sulla spiaggia deserta.
Un ultima scintilla evolutiva accasciata a terra, consapevole e annientata.
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